cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

17 gennaio 2012

traversate, traversie, attraversamenti


L’incontro con una architettura può richiedere alle volte un tempo lungo fatto di piccoli avvicinamenti successivi, occasioni perse o rimandate che incrementano il desiderio della visita, esaltano le emozioni derivate dallo studio sui libri creando aspettative che, in definitiva, in taluni casi, possono andare anche oltre le reali potenzialità dell’oggetto del desiderio. Casa Curutchet invece, proprio per essere lasciata dalla critica leggermente in secondo piano, offre, a chi ha la fortuna di visitarla, suggestioni ed emozioni comparabili con le opere più celebrate. Gli appunti di viaggio che seguono sono la registrazione dell'esperienza vissuta da chi scrive che, in fin dei conti, non può essere scissa dalle memorie del viaggio, dagli accadimenti e dalle vicissitudini cioè che apartengono al vissuto del singolo.
La visita a La Plata infatti viene a collocarsi dopo dieci giorni di permanenza in Uruguay, dopo avere cioè smaltito abbondantemente la fatica e lo spaesamento del lungo spostamento, della traversata oceanica, ed essersi calati nei ritmi, nei suoni e nei sapori della vita del posto. Il viaggio pertanto non è quello che dall’Italia porta fino all’altro capo del pianeta, ma uno più breve, quello che copre semplicemente la distanza da Montevideo a Buenos Aires e da qui a La Plata. E’ un viaggio in un quotidiano ormai acquisito, dove le lievi differenze vengono apprezzate fin nelle più piccole sfumature. La traversata dell’immenso Rio de la Plata, l’arrivo nella cosmopolita capitale argentina, il percorso in metropolitana - un metrò che sembra appena uscito da un film muto in bianco e nero - la partenza da una stazione periferica di Buenos Aires ancora carica di odori e colori di locomotive a vapore, il tragitto in un incredibile treno per pendolari che viaggia a passo d’uomo con le porte aperte, l’attraversamento dell’immensa periferia  che circonda la città, la sosta in una antica stazione di inizio secolo che finalmente segna l’arrivo nella scacchiera ordinata e ossessiva di La Plata.
Tutto questo tempo permette di porsi, non senza un certo timore, dubbi e domande sull'effetto e l'emozione che restituirà un’opera di Le Corbusier in un contesto diverso da quello europeo, se saprà dialogare con il tessuto di recente fondazione composto però dagli stili più disparati, dall’eclettismo ridondante ad un modernismo pieno di suggestioni decò, se questa piccola casa riuscirà ad affermare le speranze del maestro, se cioè i contenuti saranno in grado di comunicare più della semplice forma ormai chiusa in un codice linguistico noto e consueto. Tali dubbi scandiscono il tragitto a piedi, caratterizzato dai numeri progressivi che identificano le strade (una città fatta di numeri e non di nomi per noi europei resta pur sempre una cosa strana) che dalla stazione conduce al luogo dove sorge la casa. Nella mente un ultimo ripasso alle date, a come cioè questa casa della fine degli anni '40 sia così lontana dalle più celebrate esperienze degli anni '20 e '30 e sia in realtà coeva con le opere più mature di Le Corbusier, opere che hanno spiazzato la critica e che ancora oggi rappresentano un testamento inquietante nel panorama dell'architettura moderna. All'improvviso, in una delle cortine continue della città, dove ardite soluzioni stilistiche non riescono a riscattare l'unicità del singolo intervento rispetto al contesto, uno squarcio improvviso, quasi un'assenza della consistenza materica su cui si fonda la città, non solo attira lo sguardo, ma assorbe e cattura lo spazio urbano, impossessandosene.
La piccola casa infatti mostra subito il suo carattere e le sue intenzioni: interiorizzare la complessità urbana nel modesto recinto delle mura domestiche e proiettare, al contempo, i contenuti dello spazio privato sui margini che delimitano l'ambiente collettivo. Essa costruisce pertanto delicati equilibri tra la necessità della privacy del singolo e la partecipazione alla costruzione dell'immagine urbana, idea che appartiene anche al sogno ipotizzato dal maestro con la Ville Radieuse, e che egli intende riproporre anche all'interno della composizione di una semplice abitazione unifamiliare.
Il linguaggio, riconoscibile eppure così spurio rispetto l'applicazione ortodossa di opere più famose, non rappresenta il contenuto principale di quest'opera che invece, nella sapiente e mai eccessiva articolazione dei percorsi a sostegno della distribuzione dei luoghi destinati alle attività, individua un'ipotesi di costruzione dello spazio domestico estremamente avanzata e matura. Anche le opere più riuscite di coloro che si sono saputi ispirare all'insegnamento del maestro svizzero non sono state capaci, fino agli esempi più recenti, di eguagliare la sobrietà del gesto e la misura delle soluzioni compositive presenti in questa piccola opera. Il senso dell'attraversamento, del coinvolgimento, si stempera e si riduce a partire dall'esterno verso l'interno: dall'emozione della lunga e lenta rampa posta in uno spazio che non è più l'esterno ma non è ancora l'interno, il fruitore viene condotto nella scatola vetrata della hall di ingresso dalla quale può rileggere per intero il tragitto percorso e imboccare la più contenuta scala che con semplici rampanti che si susseguono ordinatamente nel fondo del lotto, distribuisce ai piani superiori, fino a giungere all'ultimo livello, quello delle camere più private, dove pareti curve definiscono percorsi che pulsano sotto l'effetto della luce naturale, ora invitando, ora respingendo verso i luoghi prestabiliti. Tale costruzione del percorso che unisce con gradi di privatezza diversi le parti della casa, rappresenta il vero senso di questa opera che, nella terrazza del primo livello, un vero e proprio piccolo giardino pensile, trova la sua sintesi più coerente in quanto spazio destinato all'uso privato ma partecipe di una complessità che è sia quella dello spazio domestico che quella, percepibile, della città che si dispone alla vista attraverso il bris-soleil.
La visita alla casa, condivisa con amici, studenti e studiosi, fa si che il viaggio di ritorno, pur se del tutto simile al precedente, si carichi di nuove suggestioni, ed in particolare del sogno di un uomo a suo modo unico, quelle cioè che talvolta principi universali e universalizzabili possono rendere più leggibili fenomeni particolari e regionali. La capacità del maestro infatti risiede proprio nell'avere suggerito non uno stile internazionale, ma un'architettura basata su principi appartenente alle esigenze più profonde dell'uomo che non sono pertanto legate alle particolari declinazioni della sua cultura ma piuttosto alle invarianti del suo essere: le sue emozioni e le sue aspettative.
Tale modo di operare riesce incredibilmente a porsi come catalizzatore, nello medesimo momento, di istanze generali e di tradizioni locali.
Il viaggio diviene pertanto una semplice tappa di un percorso più lungo privo di frontiere culturali, sociali o politiche, afferente all'uomo e pertanto parte di un viaggio dentro le cose che compongono la sua vita.