cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

17 gennaio 2012

La casa di Julio Vilamajò



Nel 1998 il gruppo di studio1, che partecipa fin dall’inizio alla ricerca sull’opera di Julio Vilamajó, raccoglie l’esito dei primi due anni di indagine in un libro2 inteso a divulgare la figura dell’architetto uruguayano, poco noto fuori dai confini del proprio paese. Degli stessi anni è anche il rinvenimento delle cartelle di disegni inediti - pubblicati nel presente testo - che restituisce nuovo interesse alle ricerche i cui stati di avanzamento trovano spazio su importanti riviste del settore3.
L’accurata lettura di tutti i grafici, la loro catalogazione e datazione, ha comportato, successivamente, una revisione, ovvero una conferma, di quanto a suo tempo scritto, anche alla luce di ulteriori ritrovamenti, da parte dei ricercatori dell’Instituto di Historia de la Arquitectura della Facultad de Arquiitectura de Montevideo, di carnet di schizzi e di disegni inediti del maestro.
In particolare, i disegni inerenti il progetto della sistemazione interna della propria camera da letto e di alcuni ambiti del soggiorno, hanno portato ad aggiornare e completare alcune considerazioni critiche a suo tempo espresse. Il presente saggio pertanto riprende l’analisi compiuta4 sulla casa che Julio Vilamajó ha progettato per se' stesso nel 1930 a Montevideo, arricchendola di nuove indicazioni derivanti dallo studio dei grafici, schizzi e dettagli che sono stati necessari alla realizzazione degli interni.

Un progetto autobiografico

La casa di Julio Vilamajó non deve essere letta solo come un episodio autobiografico le cui variazioni, rispetto ai progetti destinati ad una committenza privata e pubblica, risultano essere concessioni al proprio stile di vita. Rispetto l'intera opera dell'architetto uruguayano essa è descritta dai critici come l’apice della “prima fase”, il punto di arrivo di un percorso ancora intriso della cultura eclettica e Decò, cui si possono fare afferire le sue architetture giovanili. Vilamajó, infatti, nel 1921 vince l'ambito premio del "Gran Prix", versione uruguayana del più noto "Gran Prix de Rome" francese, in seguito al quale trascorre quattro anni viaggiando per il vecchio continente da poco uscito dal conflitto mondiale, andando a visitare le grandi architetture classiche oltre che i piccoli centri andalusi e dell'Italia meridionale. Tale esperienza segna non poco la sua attività professionale al ritorno in patria che risente del lungo bagno nell'architettura europea. Le opere dal '25 al '30 sono caratterizzate da una certa razionalità e semplicità dell'impianto che si coniuga però con suggestioni linguistiche desunte dagli stili della storia e della tradizione, unitamente alle espressioni tipiche della cultura Decò.
Dal punto di vista formale, la casa presenta, nelle sue linee principali, richiami linguistici e formali tipici di un linguaggio dell'architettura in quegli anni molto diffuso in Uruguay. Quello che si può definire, per estensione di una terminologia tipica della storia dell'architettura europea, "modernismo uruguayano" è un'originale sintesi di una grammatica tradizionale con contaminazioni linguistiche ora prelevate dagli stili del passato, ora dal mondo romantico e vernacolare, ora dalla cultura Decò, fino alle suggestioni già suggerite dal Razionalismo e dal Funzionalismo. La casa di Vilamajó non rinuncia né ad un aspetto “consueto e tradizionale” in cui sono riscontrabili frammenti irrinunciabili del lessico classico - il cornicione sporgente, la presenza di elementi chiaramente decorativi e l'attenzione per i dettagli costruttivi - né d'altro canto fa a meno di ammiccare ad alcune soluzioni formali - l'arretramento dell'ultimo piano e la soluzione di volumi liberi sul tetto, la libera disposizione delle finestre e l'assenza di basamento - che invece lasciano intravedere la consapevolezza di un nuovo mondo dell'architettura. Appare quindi una precisa "volontà di forma" dell'architetto che non scaturisce semplicemente da una banale corrispondenza tra struttura e immagine della stessa, né si rifà a canoni collaudati del lessico in vigore all'epoca. La struttura portante è, infatti, sottoposta a continue invenzioni tecnologiche per mantenere coerenti tutte le parti espressive del volume architettonico. Ne sono una prova le travi ora a spessore ora estradossate all'interno degli spazi e la loro complessa e artificiosa articolazione sul terrazzo al fine di arretrare il volume dello studio. Queste travi vengono lasciate a vista sopra al cornicione e suggeriscono un sottile gioco di parti in equilibrio stigmatizzato dal piccolo pilastrino metallico d'angolo di cui risulta impossibile comprendere il reale ruolo: se effettivamente statico o semplicemente espressivo. Tale complessità, riferita ad un semplice telaio strutturale, quindi non può essere frutto di una mancanza di rigore ma piuttosto di un preciso fine dove, al di la' di facili slogan di moda, risulta per Vilamajó più importante la capacità narrativa ed evocativa della forma architettonica rispetto ad un lessico consolidato, piuttosto che l'adesione a nuovi principi formali. La sua architettura, infatti, sembra giocare sullo stupore e sull'invenzione ma in modo sommesso, partendo da un mondo delle forme in cui era ancora possibile riconoscersi ed invitando a scoprire lentamente suggestioni e ipotesi per il futuro proposte dalle avanguardie e dal Movimento Moderno in generale. In tal senso va allora modificato il giudizio per il quale la sua casa rappresenta il culmine della prima fase, essa invece è il punto di svolta che già contiene in nuce le grandi trasformazioni che l'architetto uruguayano metterà in essere dal '30 in poi e che troveranno in capolavori come la Facoltà di Ingegneria di Montevideo e il complesso di Villa Serrana, la loro massima espressione.
Rispetto alle residenze progettate negli anni precedenti, la sua casa mostra alcune particolarità, distaccandosi dalla distribuzione tipologica tradizionale e proponendo un impianto molto semplice, basato su un unico collegamento verticale - la scala - che serve in successione i quattro livelli della casa. L'ingresso appare del tutto assente e l’accesso alla casa avviene direttamente attraverso il garage. Innovativo risulta anche il percorso che invita agli spazi interni che esclude la fruizione del giardino - normalmente posto o come patio di ingresso o come peristilio sul retro - e che prevede una distribuzione non canonica degli ambienti privati quali la camera da letto rispetto alla zona giorno e lo studio, al quale si accede solo interferendo con la zona notte.
Nel lotto a disposizione l'architetto allontana la parte abitata dal perimetro confinante con le due strade, e la "protegge" dalla strada più trafficata con il giardino, il quale, per essere vissuto con maggiore privacy, viene sollevato dalla quota strada assumendo la sua particolare conformazione chiusa ed introversa. La casa si concentra verso l'angolo a ridosso degli altri fabbricati e, costretta ad avere due lati ciechi, si predispone ad utilizzare al meglio l'angolo libero rivolto verso la città. Al visitatore che giunge dal boulevar Sarmiento l'alto muro del giardino, che ricalca il profilo del lotto, impedisce la visione dell'interno, incombe sulla persona fino a condurlo verso il prospetto su Domingo Cullen dove, l'arretramento del fronte, invita invece ad avvicinarsi alla casa. Qui si scopre che non esiste un vero ingresso e che il garage è pensato come uno spazio di mediazione tra l'interno e l'esterno. Ne è conferma il raffinato trattamento superficiale delle pareti, del pavimento e del gradino nero che sottolinea l'ubicazione della porta di accesso vera e propria il cui disegno è, a tutti gli effetti, quello di un “portoncino da esterni”. Vilamajó considerando insufficiente il poco spazio prospiciente l'edificio e non volendo sfruttare il giardino come patio, preferisce ingrandire il semplice varco di ingresso fino a farlo diventare un vero e proprio “spazio dell'accoglienza” - destinato certamente anche all'auto - ma che nel quotidiano, una volta lasciati aperti i grandi portoni di ferro, diviene un luogo in bilico tra pubblico e privato, tra interno ed esterno: ambito della casa che risulta tuttavia ancora parte dello spazio urbano.
Da tale atrio, luogo di mediazione, si accede alla scala che conduce ai piani superiori. Questa, sebbene sia dimensionalmente sempre uguale, cambia aspetto e carattere di rampante in rampante, ora per il colore della tinteggiatura delle pareti, ora - soprattutto - per il tipo di relazione percettiva che instaura con gli spazi che serve. Essa sale dal piano terra, stretta dall'avvolgente parete curva che la delimita, e giunge al livello del soggiorno sul quale si apre completamente, lasciando libera solo la struttura portante circolare. Visivamente lo spazio si dilata all'improvviso anche grazie alla lunga finestra a nastro che passa dietro il pilastro con gli angoli arrotondati e che delimita un tratto di arredo fisso posto ad inquadrare la prospettiva di chi sale il rampante. Proseguendo verso il livello successivo i parapetti aperti verso gli spazi principali della casa (contrapposti alla parete chiusa verso gli ambienti di servizio) catturano, come in una dissolvenza cinematografica, lo sguardo del visitatore che abbandona il soggiorno per lo spazio del pranzo. Qui la parete con l'attrezzatura fissa - fondo della prospettiva della rampa a salire - sormontata da uno specchio e da una lampada posta di lato, evidenzia la volontà di realizzare un effetto diverso piano per piano coerentemente con la funzione. Lo spazio del soggiorno è, infatti, caratterizzato da una doppia assialità (l'asse della finestra del giardino rimarcato dalla presenza del pilastro circolare della scala e l'asse ortogonale della finestra su strada segnato dal disegno del pavimento e dalla posizione della lampada sul tavolo) ma è altresì integrato allo spazio della scala grazie al disegno continuo del pavimento che accomuna i due ambiti (a differenza del piano sottostante dove la pertinenza del pianerottolo è evidenziata da un pavimento diverso).
Al piano successivo un grosso mobile con cassetti fa da sfondo alla scala e individua un ambiente che può risultare chiuso, ovvero coinvolto con lo spazio dell'anticamera, grazie ad una tenda. L'esiguità dello spazio della scala a questo livello è riscattata, anche nel caso di totale separazione dall'anticamera, grazie alla luce - sia essa artificiale che naturale - proveniente dall'alto, dallo studio sovrastante. Il passaggio quindi dal piano del pranzo allo studio (non solo privato ma anche spesso luogo di riunione con clienti e studenti) non compromette la privacy della camera da letto - dotata di un percorso indipendente verso la stanza da bagno - ma neanche diviene un momento di sospensione del racconto percettivo destinato al fruitore che invece, rispetto ad una serie di accadimenti disposti sempre dal lato del giardino, ha qui l'apparizione del piccolo e prezioso ambito dell'anticamera predisposto sul lato opposto.
Le strutture arredative fisse, pur mostrando un’autonomia compositiva e morfologica rispetto l’involucro murario, risultano sempre chiarificatrici - per ambienti quali il soggiorno, il pranzo e l'anticamera della zona notte - delle modalità d’uso dello spazio e della volontà espressiva dei luoghi da abitare che non sono mai consuete e che rileggono la tradizione in chiave innovativa.
Le scelte che sottendono l’organizzazione degli arredi della camera da letto non sono, invece, di immediata comprensione. Qui i materiali di finitura, pur sottolineando con coerenza il desiderio di costruire un luogo raccolto e accogliente, sono altresì messi in opera secondo una disposizione che, letta insieme alla traccia degli arredi mobili - tra cui il letto - desumibile dalle fotografie d'epoca, suggerisce un’organizzazione spaziale non legata né alla percezione, né al dimensionamento funzionale. In particolare l’organizzazione non tiene conto dell’involucro architettonico, come si può evincere dal fatto che non è in rapporto con la posizione dei vani delle finestre. La stanza è concepita in due parti, separate tra loro da una tenda apribile. L’andamento di tale tenda è stato oggetto di numerose soluzioni che sono approdate in quella realizzata dove la cortina assume una forma morbida e sinuosa, non rettilinea, capace di “ammorbidire” il rapporto tra i due ambiti evitando di separarli nettamente. Lo spazio immediatamente a ridosso della porta di accesso alla camera è pensato come un luogo di accoglienza e raccoglimento, riposo e conversazione, caratterizzato dalla presenza di una dormeuse integrata con il disegno del margine. L’intero perimetro interno è infatti progettato come un unico guscio in legno contrappuntato da parti in stoffa e specchi. Accanto al divano fisso l’architetto progetta un angolo di specchi, capaci di riflettere la figura umana ma anche di moltiplicare all’infinito la stanza, secondo una lettura non ortogonale.
Oltre la tenda è disposto il letto il quale, avvolto da attrezzature fisse basse che fungono da cassettiera e comodini, presenta la “testa” contro la finestra in modo non usuale se si pensa che il vano della finestra stessa non ha alcuna relazione dimensionale o di posizione con il letto. Analogamente il pavimento presenta un disegno estremamente curato e raffinato che non sottolinea però né la disposizione degli arredi, né la presenza della tenda, né il modo d’uso dell’ambiente e risulta pertanto indipendente dalla vita che si svolge all’interno dello spazio. Tali discrasie possono essere certamente il frutto di ripensamenti, di continui adattamenti al proprio stile di vita, ma quello che resta evidente è la capacità di gestire per intero tutto il processo progettuale - dalla struttura agli arredi - e di dare, in definitiva, proprio a questi ultimi, il ruolo di protagonisti capaci di interagire con la vita di ogni giorno. Sono infatti i terminali architettonici, quelle parti di arredo fisse, luoghi dove l’involucro architettonico si specifica in sistemi funzionali per essere adoperati dall’uomo, che definiscono realmente la misura e la ragione stessa degli interni, l’apparato architettonico, così presente e accurato all’esterno, si stempera nel panorama interiore e il risvolto della “messa in scena” ad uso della scena urbana diviene il sensibile disegno dell’abito “su misura” privato e personale.
Parte integrante dell'articolazione interna risultano essere i percorsi e gli spazi del piccolo giardino. Questo costruisce delle alternative percorribili alla scala interna e si pone come logica continuazione dello spazio della casa. Il giardino è necessario al corretto svolgimento delle funzioni, non solo in quanto spazio fisico, ma anche come luogo su cui posare lo sguardo, scena da fruire, filtro per inquadrare e selezionare la vista della città. Esso inoltre ha le sue specifiche qualità che lo rendono un prezioso luogo della contemplazione e della riflessione, pieno di mille accadimenti - la parte coperta dalla terrazza, la piccola vasca d'acqua con il bronzo al centro, la zona del verde con l'abbeveratoio per gli uccelli, la scala, il frangisole, il sistema per il sostegno dei rampicanti - che consentono di viverlo nelle diverse ore del giorno e nei diversi periodi dell'anno.

Regole compositive e rapporti dimensionali

La presenza delle decorazioni in ceramica colorata poste sulla facciata - piccolo bassorilievo raffigurante una sorta di prora di nave in un mare ondoso - suggerisce due ipotesi: la prima di dare "spessore" e dinamicità alla facciata attraverso il ritmo delle ombre portate sulla superficie dell'intonaco che a sua volta, essendo un impasto a base di mica, già per sua natura, risulta particolarmente sensibile alle variazioni luminose; la seconda di voler interpretare in chiave contemporanea un motivo classico della decorazione parietale che è quello del chiodo di bronzo o della borchia di sostegno delle lastre di rivestimento secondo un sistema già usato da Vilamajó nel progetto dell'Agenzia General Flores del Banco de la Republica Oriental del Uruguay. A differenza di tale opera dove le decorazioni sono poste sull'incrocio di un tracciato inciso nell'intonaco chiaramente ispirato ad un rivestimento a blocchi o a lastre, nella propria casa il tracciato scompare e i piccoli punti colorati rimangono come evanescenti fantasmi sulla pelle delle pareti. In questo caso quindi le ceramiche incastonate in facciata perseguono lo scopo di mettere in risalto un tracciato soggiacente, non visibile, che le lega le une alle altre. Esse infatti descrivono una trama ideale che giustifica e regola anche la disposizione di tutti gli altri elementi della facciata, attraverso un modulo quadrato che, ripetuto sei volte, definisce un rettangolo con i lati in proporzione aurea. L'intera facciata, compreso l'inviluppo dei volumi superiori, è inscrivibile in un rettangolo aureo, mentre la parte che va dalla linea di terra al cornicione corrisponde ad un'altra figura geometrica densa di implicazioni che è il rettangolo cosiddetto √2, dove i lati sono cioè in rapporto con 1 e √2.
Tutti prospetti sono dimensionati sui due rettangoli: la facciata su Domingo Cullen vede il modulo basato su √2 proporzionare la finestra del pranzo ed i sottomoduli di quella del soggiorno, oltre a tutte le aperture di servizio sul lato sinistro. Il rettangolo √2, detto anche dinamico, modula inoltre in diagonale la disposizione delle decorazioni ceramiche oltre alle parti principali della composizione delle pareti del giardino. Le misure auree invece regolano la disposizione delle ceramiche in orizzontale, pervadono la divisione del portone di ingresso e delle finestre al piano terra, oltre a dare forma al vano aperto sul terrazzo e al volume del serbatoio dell'acqua sul tetto. Analogamente, ma in maniera addirittura più chiara, il prospetto sul boulevar Sarmiento è una rigorosa sovrapposizione alternata dei due rettangoli che danno vita ora al primo tratto del muro del giardino, poi ai diversi livelli dello spiccato, fino alle finestre, all'altezza dei parapetti e delle ringhiere.
Nello studio delle piante e delle sezioni la presenza di tali moduli si palesa come cosciente volontà progettuale. L'impianto del vano del garage è fondato su un rettangolo aureo così come il disegno dei rivestimenti parietali dello stesso seguono rigorosamente quello dinamico. Lo stesso ingombro della scala, in pianta, è dato dalla giustapposizione di geometrie auree e la sezione trasversale del suo vano è la somma di due rettangoli aurei sovrapposti. Anche la composizione degli spazi del giardino è basata su tali proporzioni, dalla dimensione generale delle varie aree fino al più piccolo taglio delle lastre di rivestimento. Tali figure geometriche sono rintracciabili anche alla composizione dello spazio della camera da letto: il disegno del pavimento in getto di graniglia di cemento circondato da listelli di parquet è infatti un rettangolo dinamico mentre le geometrie del legno seguono l'aggregazione di multipli di quello aureo che dimensiona inoltre anche gli sportelli dei mobili ed il modulo degli specchi. E’ interessante rilevare che, malgrado esistano relazioni non usuali tra la disposizione degli arredi, il disegno del pavimento e la struttura architettonica, ogni componente non rinuncia e assecondare i moduli proporzionali, divenendo così voci distinte in una orchestrazione armonica unitaria. Non è un caso quindi che il disegno stesso della ceramica di decorazione esterna da cui si è partiti per individuare le misure che proporzionano l’intero organismo architettonico, sia in prospetto che in sezione, è relazionato ai due rettangoli dimostrando che non c’è casualità in tali misure ma che esiste piuttosto una precisa volontà da parte di Vilamajó di utilizzare per ogni più piccola parte tale sistema proporzionale.

Fuori da ogni ulteriore considerazione in conclusione è giusto ricordare che un’opera così minuta non può che essere il racconto – o il disvelamento – della volontà dell’uomo di lasciare sempre, ai suoi simili, un segno di se’, una traccia del proprio pensiero, la testimonianza concreta di essere stato attivo protagonista della propria esistenza. Talvolta tracce troppo chiassose possono dare vita a fenomeni di rifiuto o di estraneità da parte dei destinatari, al contrario la delicatezza e la raffinatezza di un atteggiamento discreto non può non essere percepito dalle persone sensibili.
Certe volte infatti l’invisibile è più presente del visibile, così come trasgressioni alla tradizione consolidata, ovvero rigorose regole armoniche e geometriche, possono rendere l’ambiente più vicino alle esigenze e aspettative dell’uomo.


1 Nicola Flora, Immacolata C. Forino e Paolo Giardiello hanno dal 1996 partecipato alle ricerche iniziate da Agostino Bossi nell’ambito della collaborazione con il Taller Otero della Facultad de Arquitectura de Montevideo. Lo studio si è avvalso anche della collaborazione di Ludovico M. Fusco e, attualmente, di Amedeo Giordano, Antonella Minopoli e Luca Mosele.
2 AA. VV., Julio Vilamajó. La poetica dell’interiorità, Napoli 1998.
3 Cfr.: A. Bossi, Poetica dell’interiorità, in AREA n°55, Milano 2001; A. Bossi, Segni d’interno, in CASABELLA n° 697, Milano 2002.
4 P. Giardiello, Il rilievo della casa di Vilamajó, in AA. VV., Julio Vilamajó. La poetica dell'interiorità, Napoli, 1998